Oltre alla consueta produzione di salami, con o senza
aglio, si segnala una produzione dell'ormai raro salame
d'asino nei comuni di Posina, Laghi, Arsiero e
Valdagno, nel settore nord-occidentale della provincia.
La composizione dell'impasto prevede l'uso di carni
magre di asino di razza Furlana (60%) e grasse di suino
(40%), bagnate con vino rosso e conciate con pepe,
cannella, chiodi di garofano, rosmarino, salvia e aglio.
Esistono ancora le sopresse di casa? E se così è, quale
santo bisogna scomodare per averne una? C'è dell'ironia
in queste domande, ma la realtà la giustifica. Dopo tanto
oblio, è arrivato il momento, anzi la moda dei prodotti
tipici, salvo constatare che alcuni di essi sono sull'orlo
dell'estinzione. Questa sciagura gastronomica ha molte
ragioni d'essere, da ultima anche la globalizzazione che
porta sui nostri mercati salumi confezionati agli antipodi.
Scherzi a parte, non c'è voluto molto, qualche anno
addietro, per mandare in crisi molte produzioni tipiche.
Come chiedere, nel caso dei salumi, il rispetto di standard
tecnici obiettivamente persecutori a certe piccole
aziende locali.
Adeguamenti antieconomici per il macellaio
di montagna, costretto a chiudere i battenti, e ancor
più per l'azienda agricola che teneva qualche suino in
più per farne amichevole commercio. Buon per noi, nel
caso della sopressa vicentina, che alcuni salumifici artigiani
hanno raccolto il testimone della tipicità giungendo
al ragionevole compromesso di tradizione e tecnologia
richiesto dal mercato. Buon per i nostalgici della
sopressa del tempo andato che la normativa sull'agriturismo
permette ancora alle aziende del settore di lavorare
fino a due suini a settimana.
A queste fattorie spetta
oggi l'onore di custodire nelle proprie cantine i tesori
quasi perduti della salumeria vicentina, una produzione
limitata nei numeri ma culturalmente significativa. Il
loro impegno rientra in
uno specifico progetto
di certificazione «Terre del Palladio», nato
dalla collaborazione
della Coldiretti e di Vicenza
Qualità, azienda
speciale della Camera di
Commercio.
Il lardo si ricava dagli strati adiposi nobili che ricoprono
i fianchi e la schiena del suino, ridotti in pezzi regolari
e trattati in concia di sale e aromi in vista della legatura
a libro, con la cotenna all'esterno, più frequentemente,
oppure dell'insacco o di altra conservazione.
Nella cucina contadina il lardo costituiva una riserva di
grasso per tutto l'anno e veniva utilizzato come condimento
per minestre, pietanze e spesso anche per condire le verdure crude, e in
particolare i radicchi di
campo, dopo essere stato
sciolto in padella. Nell'uso odierno,
dopo un lungo periodo di eclisse se non di demonizzazione,
il lardo è tornato in auge, in versione aromatizzata,
come affettato ed eclettico ingrediente di
cucina.
La pancetta è ricavata in ragione di due pezzi per ogni
capo dallo strato di lardo venato di parti carnose che
ricopre l'addome del maiale. I tagli vengono salati e
aromatizzati con cannella e chiodi di garofano, quindi
arrotolati, insaccati dentro a budello di grosso calibro e
legate ad anelli ravvicinati.
Tagliata a fette sottili, è un
salume suadente, companatico tra i più apprezzati. A
ciò si aggiunge il favore di cui gode nella cucina tradizionale,
tagliata a pezzettini e rosolata per insaporire le
verdure stufate, come i radicchi di campo o
la catalogna, o nel soffritto di tante altre
preparazioni. I salumifici artigiani,
la producono anche
nelle versioni coppata e salamata,
legandola rispettivamente
attorno a un
ossocollo o a impasto da
sopressa.
Il termine salsiccia nasce per combinazione di salsus, salato, e insicia, cicciolo, polpetta, che reca in sé il verbo secare, tagliare. Un insaccato di piccola pezzatura, dunque, per il quale si utilizza il sottile budello del maiale e la legatura in filze. La natura dell'impasto, macinati a grana abbastanza grossa, è varia e determina sia il grado di conservazione che le modalità di consumo.
Le salamelle, o salsicce fresche, nascono dai tagli meno pregiati e vanno cotte a breve sulla piastra o in padella con delle verdure stufate o crauti.
Le luganeghe, fatte con carni magre e grasso morbido, si conservano al fresco per qualche mese; anch'esse sono destinate alla griglia e alla preparazione di sughi e ripieni.
Nel quadrante sud-orientale dei Colli Berici merita
specifica citazione la realtà salumiera della Val Liona,
che si presenta con uno scenario naturale a se stante,
intimo e suggestivo. Richiamandosi alla secolare tradizione
del luogo un'importante azienda di Sossano ha
avviato la lavorazione di un prosciutto crudo aromatizzato
con ginepro e altre essenze di collina, proponendolo
anche in versione affumicata con legno di faggio
e acero.
Nel termine è il riferimento alla natura di questo salume,
costituito dalle masse muscolari situate lungo le
vertebre del collo del maiale, tra l'attaccatura della
testa e la quinta-sesta costola del carrè. La carne viene
salata, aromatizzata con cannella e chiodi di garofano, insaccata in budello naturale
di calibro adeguato e
legata con cura prima di
essere posta a stagionare da
sei mesi a un anno.
Trattandosi di un pezzo
di carne intero le percentuali di grasso sono molto
variabili, ma mediamente attorno al 25%. La coppa,
come il culatello e tutti i salumi compatti, tende a rinsecchirsi:
per ovviare al problema c'è l'espediente di
ammorbidirla con bagnature di vino bianco, brandy o
altri alcolici. Salvo insaccarla rivestendola con pasta di
sopressa, ottenendo così uno dei prodotti più pregiati
della tradizione vicentina.
Il prosciutto crudo rappresenta una realtà a se stante
nella tradizione salumiera vicentina. Un tempo, infatti,
era salume destinato essenzialmente alle tavole ricche,
giacché i contadini, quando non utilizzavano le cosce
nell'impasto per salami e sopresse, le vendevano per
finanziare l'acquisto del nuovo suinetto. La zona di
produzione interessa l'area che ha come punti di riferimento
Montagnana, in provincia di Padova, e i centri
vicentini di Sossano e Lonigo.
Il disciplinare Dop prevede che le cosce, lavorate e salate, vengano
sottoposte a una prima maturazione di circa
90 giorni; segue la stagionatura
vera e propria, almeno 10
mesi, al termine della quale
il prosciutto può fregiarsi
del marchio consortile
del leone di San Marco.
Al taglio, il prosciutto
deve presentarsi di colore
rosa tendente al
rosso nella parte magra,
bianco puro in quella grassa;
l'aroma delicato, dolce e fragrante
Il termine bondola deriva forse dal latino botulu,
budello, o da una voce arcaica d'ambito padano, indicante
un oggetto di forma tondeggiante. Questi insaccati,
infatti, si differenziano dai cotechini solo per la
forma e la maggiore dimensione, determinate dalla
confezione in vescica di maiale, che permette all'impasto
di conservarsi fresco più a lungo.
Prodotto caratteristico è la bondola con la lingua, che consente la conservazione di questo taglio di carne, inserita intera nel cuore dell'insaccato o mischiata a pezzi all'impasto dopo una breve salmistratura. Da segnalare l'antica usanza contadina di consumare la bondola nel giorno dell'Ascensione, anche a titolo di protezione contro il morso dei serpenti.
Degna di nota, la Sagra della bondola che
si tiene a Torrebelvicino, nella prima metà di maggio.
La produzione di questa salsiccia rimanda al tempo in cui i contadini, pressati dalla necessità di fare maggiore provvista possibile, addizionavano le carni degli insaccati meno pregiati con polpa di rapa, ortaggio autunnale disponibile nello stesso periodo della macellazione dei maiali.
Per ottenere un prodotto quanto più fedele alla tradizione si prescrive il ricorso a carni di suini alimentati per almeno il 65% a base di mais locale o nazionale, macellati solo al superamento della soglia dei 160 chilogrammi, indicativa di un’adeguata disponibilità di lardo. I tagli suini utilizzati sono: polpa e rifilature di spalla; rifilature di coppa; goletta; rifilature di coscia, compreso il suo lardo; magro di pancetta e/o guanciale. Le singole quantità sono a discrezione del produttore. Quanto alla rapa gialla, di produzione locale, ne è previsto l’impiego, previa cottura, in ragione del 25-30% del peso totale.
L’insieme dei vari ingredienti va macinato con trafila da 4-6 millimetri, quindi addizionato con una concia fine di sale, pepe e salnitro in precise quantità, e l’amalgama così ottenuto insaccato manualmente in budello naturale ovino o suino. Con la legatura in filza si ottengono delle salsicce di una decina di centimetri di lunghezza e di circa 100 grammi di peso, destinate a pronto consumo, entro dieci giorni dalla produzione, previa cottura sulla brace. Sul piatto la ‘cincionela co’ la rava’ deve mostrare fetta morbida ma compatta, con le parti grasse in bell’evidenza e quelle magre perfettamente amalgamate alla rapa e alle spezie. Il sapore dev’essere delicato, con nota di caratteristica dolcezza conferita dall’ortaggio.