Per centralità geografica non potrebbe esserci slogan più indovinato di "Vicenza, cuore del Veneto", che sottintende anche la passione che i vicentini mettono in ogni loro attività. Questo vale anche per il vino, che vede la provincia al centro di uno scenario tra i più ricchi di risorse, con quattro distretti vinicoli d'antica storia, ciascuno con un suo motivo d'unicità, e una Doc provinciale – l'unica del Veneto – a copertura di tutto il vigneto con un'ampia rassegna di etichette: alcune generiche (Bianco, anche in versione frizzante, spumante e passito; Rosso, anche novello, e Rosato, anche frizzante) e diverse altre a denominazione di vitigno (Chardonnay, Garganego, Manzoni Bianco, Moscato, Pinot Bianco, Pinot Grigio, Riesling, Sauvignon, Cabernet, Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot Nero, Raboso).

La prima peculiarità ampelografica si riscontra nei Colli Berici, la zona Doc più rilevante, con il Tai Rosso come alfiere. Può capitare ancora che qualcuno lo citi come Tocai Rosso, ma per quanto tradizionale questa denominazione è fuorviante – non c'entra nulla con il Tokaj danubiano.Sicuramente unico a livello nazionale è il vino di buona gradazione che se ne ricava sui Colli e in particolare nei dintorni di Barbarano. È considerato un rosso leggero da tutto pasto – colore rubino e profumo caratteristico, sapore intenso e giustamente tannico, retrogusto leggermente amarognolo – da servire anche fresco in una serata d'estate.

Passando alla Pedemontana e alla zona Doc di Breganze, nel vigneto diventa protagonista l'uva Vespaiola, in dialetto Bresparola, che fin dal nome non fa mistero d'aver umore così zuccherino, nonostante la buccia consistente, da attirare nugoli di vespe quand'è prossima la vendemmia. Se ne ottiene un vino profumato e fine, ma soprattutto, da uve appese ad asciugare in fruttaio, un passito di rare qualità che va sotto il nome di Torcolato, tra le più apprezzate produzioni enologiche vicentine.

Quanto alla zona Doc di Gambellara, al confine con Verona, il vigneto è pressoché monopolizzato dall'uva Garganega, molto diffusa anche nella limitrofa zona vinicola di Soave. La varietà è inconfondibile per il grappolo grande e allungato – gli acini sono di colore dorato, spargoli e pruinosi – con spiccata tendenza a formare quei racimoli laterali che il dialetto definisce rece, orecchie, più esposte al sole e di colore ambrato a maturazione avanzata; ne deriva il termine recioto per il vino dolce che si ottiene proprio dalle parti alate del grappolo pazientemente selezionate in vendemmia e lasciate appassire in fruttaio. Nel Vicentino – questa la peculiarità della Garganega – se ne ricavano non solo vini fermi e asciutti, come il Gambellara Doc, e vini dolci, fermi o spumanti, come il Recioto di Gambellara, ma anche un Vin Santo lavorato dopo un appassimento protratto fino alla Pasqua con risultato unico per concentrazione di aromi.

Infine, la zona Doc dei Monti Lessini, dov'è molto diffusa l'uva Durella: gli enologi in questo caso parlano esplicitamente di ceppo autoctono, ovvero originario del luogo o presente da così tanto tempo da potersi considerare tale.Nella tradizione popolare si parla di un "vino duro per uomini duri", ma in anni recenti sotto la scorza burbera s'è scoperta un'anima gentile. A determinare questa nomea è la spiccata acidità dell'uva; lungi dal considerarla un difetto, gli esperti sanno che questo carattere chimico può portare grandi soddisfazioni enologiche, come si riscontra nella produzione odierna, dove la scabrosità dei mosti s'attenua rivelando un'anima complessa, aromi floreali e morbidezza, specie nella più recente produzione spumantistica.

Il Clinto

Il comune di Villaverla ha specifico motivo d’orgoglio e nostalgia per il Clinto, un vino per così dire ‘storico’ che leggi troppo restrittive hanno penalizzato oltre misura. La sua vicenda ha inizio nell’Ottocento, quando nel giro di pochi decenni il vigneto europeo venne messo in ginocchio da tre gravi infestazioni: dapprima due funghi, lo oidio (1850) e la peronospora, (1870-80), quindi un insetto, la fillossera (1880-1900). Il rimedio viene individuato nell’impiego di vitigni ibridi, ovvero incroci di varietà resistenti a questi attacchi, le cosiddette uve ‘americane’, sulle quali verranno innestate la maggior parte delle nobili varietà del Vecchio Continente. Tra le più diffuse l’uva Fragola, nota anche come Isabella, e per l’appunto l’uva Clinto, o Clinton, inconfondibili per il gusto che i francesi definiscono ‘framboisier’ (‘di lampone’) e gli anglosassoni foxi (‘volpino’); se ne ricava un vino di modesta gradazione alcolica, ‘di pronta beva’, come dicono gli enologi quando sottindendono il consumo entro la stagione.

Clinto

Proprio per questo motivo, a qualche decennio di distanza, una volta completata la ricostituzione del vigneto nazionale, è scattata la messa al bando delle uve ibride, a questo punto considerate come una presenza deteriore. La coltivazione del Clinto a scopo enologico è stata vietata da una legge del 1931 e recentemente ribadita da normative della Comunità Europea. In sostanza la legge consente di coltivare uve come la Fragola o la Clinto per il consumo familiare del frutto fresco, ammettendo anche la possibilità di impiegarle nella distillazione di acqueviti, ma vieta la produzione di vino propriamente detto. Il prodotto di queste uve può essere definito come meglio si crede – «bevanda a base di uva», si legge su certe etichette – ma non vino.
Si tratta evidentemente di una norma troppo restrittiva perché al giorno d’oggi non mancano certo norme a tutela dei vini più nobili. Dunque non c’è ragione di penalizzare ulteriormente produzioni che negli anni sono entrate nell’affetto della gente e possono a buona ragione essere definite tipiche. Questo vale soprattutto in Veneto, nelle zone dove il Clinto in particolare ha trovato suoli argillosi pienamente congeniali. Di questi vignaioli nostalgici Villaverla è diventata la roccaforte e l’annuale Festa del Clinto, che si tiene a villa Ghellini in giugno, rappresenta l’occasione di un approfondimento tecnico finalizzato alla riabilitazione di questo vino. In un recente convegno, per esempio, è stato chiamato in causa l’Istituto Sperimentale di Viticoltura di Conegliano per smontare l’accusa mossa al Clinto di contenere una percentuale eccessiva di tannini e del famigerato alcool metilico.

Così, animati da un certo ottimismo, vignaioli e buongustai possono rivolgersi alle bancarelle di prodotti tipici – vino e distillati, formaggi, bussolà e gelato, tutti ovviamente al Clinto – e alla cena in villa che ogni anno riesce a sorprendere per la fantasia dei cuochi nel coinvolgere il vino festeggiato.

 

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