La vicenda del noce è simile a quella del castagno: originario dell’Asia Minore, dalla Grecia giunse a Roma per poi diffondersi in tutta la penisola. Il nome scientifico Juglans regia, di conio ciceroniano, deriva da Jovis glans, ghianda di Giove, e testimonia la considerazione che già gli antichi avevano del frutto di questo grande albero. Apprezzatissimo per il legno, utilizzato per lavori di falegnameria fine, fornisce anche un prezioso raccolto di frutta oleosa.

Il noce cresce bene isolato e spesso lo si trova al margine degli orti e vicino alle case, ma veniva usato anche come tutore delle viti, soprattutto in testa al filare. Quanto al frutto, il primo motivo d’interesse era legato alla festa di San Giovanni, che cade il 24 giugno, pochi giorni dopo il solstizio d’estate: ancora acerbo, viene raccolto per essere messo in infusione nell’alcool, mallo compreso, e ottenere il nocino, liquore popolarissimo in tutta l’area padana. Più avanti veniva il momento della bacchiatura dei frutti maturi a proposito dei quali basta ricordare un proverbio: “pan e nóse, magnàr de spóse”, pane e noci, mangiare da spose. Nella Pedemontana Vicentina il noce è presenza connaturata al paesaggio, anche se la sua coltura è fortemente regredita nei decenni che hanno visto lo spopolamento delle campagne. Dagli anni Ottanta, tuttavia, è cominciata un’opera di ripopolamento da parte della Comunità Montana, che ha restituito al noce dignità di pianta da frutto ai margini delle contrade collinari. Resta coltura sparsa, con alberi che prosperano in luoghi dove la sua presenza è registrata a memoria d’uomo, evidentemente favorita da condizioni pedoclimatiche molto particolari.

Ne deriva una produzione assai contenuta per quantità, ma di qualità eccellente, che dal 1976, ogni terza domenica di ottobre, trova risalto nella Fiera della Nóse, concomitante alla manifestazione del marrone di Mortisa. Anche in questo caso non si può parlare di una noce esclusiva della zona, ma piuttosto di varietà tipiche della montagna veneta, come la Feltrina, che qui trovano habitat particolare. Le caratteristiche utili per l’assegnazione del titolo di Nóse de Oro sono la pezzatura, la tenerezza del guscio, l’integrità del gheriglio e ovviamente il gusto, che dipende dalla ricchezza in minerali del suolo e dal clima che ne favorisce la concentrazione nel frutto. Quanto al consumo, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Oggi le noci si abbinano ai formaggi cremosi, entrano nelle insalate, si usano nelle salse ed ovviamente in pasticceria, a partire dalla tradizionale torta di noci. Il loro futuro è scritto negli eccezionali dati nutrizionali: 15% di proteine e oltre il 60% di grassi, un vero concentrato di energia. Un tempo dai gherigli avviati al molino si ricavava un olio che veniva fatto bruciare nelle lampade, ma anche utilizzato in cucina, soprattutto in montagna, e nella farmacopea popolare, dal trattamento delle botte e delle dermatiti alla soluzione di problemi intestinali e urinari.

Le foglie, ricche di tannino, venivano utilizzate in tintoria ed anche nella stagionatura dei formaggi per infondere loro particolare sapore. Oggi le noci sono tornate di grande attualità in tema di prevenzione delle malattie cardiovascolari per il loro contenuto di grassi insaturi, tra i quali i fatidici Omega 3, vero toccasana per le arterie, con il plauso e un contributo della Regione per quanti vorranno impegnarsi nella loro produzione.

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