Sono numerosi i doni della natura, erbe e futti, a lungo dimenticati che sono oggi ritornati sulle nostre tavole. Eccone alcuni.

Corniolo Il cornolaro è pianta dal legno durissimo, con il quale si facevano i bastoni per andare a camminare in montagna. I suoi frutti maturano tra luglio e settembre a seconda dell’altitudine, divenendo di color rosso vino. Per poterli gustare appieno, bisogna avere l’avvertenza di mangiarli quando sono missi,
cioè maturi, altrimenti allegano i denti. Con le còrnole raccolte in gran quantità, si faceva anche un vin de còrnole, oppure venivano vendute a fruttivendoli o privati che le conservavano sotto grappa.

corniole

Cotogno (codògni) Mentre ora i codògni si trasformano in cotognata e in mostarda, in passato venivano cotti al forno o elaborati con qualche ricetta particolare, soprattutto col mosto dolce dell’uva che inizia a fermentare. Nei momenti di particolari difficoltà alimentari
i frutti venivano anche consumati come verdura dopo essere stati lessati e miseramente conditi. I frutti maturi poi, non mancavano mai nei cassetti dove veniva
riposta la biancheria per profumarla, al pari della lavanda. Una volta tagliati a pezzi e cotti con delle vinacce entro molta acqua, servivano a preparare il bònbo con il quale si aromatizzavano le botti.

Giuggiole (dùdole) Le piante di dudolàro sono coltivate sin dai tempi dei Romani e si trovano e sono conosciute quasi esclusivamente nella parte bassa del territorio vicentino, gravitante sui Colli Berici. Infatti abbisognano di un clima piuttosto caldo e crescono generalmente in giardini e orti di zone protette. I frutti si consumano quando sono un po’ avvizziti (si possono anche conservare essiccate). A volte, prima della “nascita” del “brodo di giuggiole” erano messi dentro la grappa, che si trasformava in un gradito liquore.

Nespole (néspoli) “Ténpo e pàja maùra i néspoli” dice un comune proverbio. È difficile fare commercio dei néspoli, perché raccolti nell’autunno avanzato, quando sono ancora molto duri, vanno riposti, come dice il proverbio, sulla paglia, o comunque su un tavolato, prendendoli di volta in volta man mano che diventano mèssi (più che maturi). Il sapore che lasciano sul palato l’impasto molle e non succoso è dolce e originale.Durano fino all’inizio dell’inverno. 

raperRaperonzolo (ranpussolo) È abbastanza diffuso negli incolti erbosi, soprattutto nei terreni calcarei collinari e submontani specie ai margini dei vigneti e dei viottoli. Nessuno penserebbe, osservando d’estate i fiori, abbastanza vistosi della campanula raperonzolo, alta fino a un metro, che anche questa piantina possa essere utilizzata in cucina. Invece proprio i giovani ranpussoli completi della carnosa bianca e fusiforme radichetta e della rosetta fogliare, raccolti anche  d’inverno, dopo qualche giorno di sole, lungo i pendii esposti a mezzogiorno, vengono conditi crudi e si trasformano in un’insalataincomparabile, dal vago sentore di noce. Se questo è il massimo, certo non sono da disprezzare un risotto o una frittata dove i ranpussoli, anche se cotti, danno origine a combinazioni eccellenti.

Scalogno (scarlògne) In passato la piantina veniva coltivata soprattutto come sostitutiva delle cipolle nel periodo invernale quando queste avevano germogliato. In ogni casa non mancavano mai le scarlògne sott’aceto, preparate appositamente per accompagnare carni bollite e salumi. Oggi lo scalogno è largamente utilizzato in cucina per tutto l’arco dell’anno e preferito talvolta alla cipolla per il suo sapore decisamente più penetrante, seguendo un po’ le orme dei nostri vicini d’Oltralpe, i francesi, che ne sono dei grandi estimatori e consumatori.

La mela rosa della montagna vicentina È una manifestazione unica nel suo genere quella che ai primi di ottobre si tiene a Lusiana, sulla Pedemontana dell’Altopiano di Asiago: protagoniste di Pomo Pero sono infatti certe antiche varietà di frutta sopravvissute all’avanzata dell’agricoltura di massa; mele e pere, come suggerisce il nome della manifestazione, ma anche uve, patate e altri ortaggi. Si tratta di colture a forte rischio di estinzione, con le quali andrebbe perso un piccolo tesoro agronomico di piante perfettamente adattate all’ambiente e selezionate in funzione di specifiche caratteristiche organolettiche e di serbevolezza.
Per scongiurare questo rischio la Provincia di Vicenza, tramite le comunità montane, ha messo in atto un’azione di tutela, che innanzitutto ha  visto l’allestimento di un frutteto sperimentale a Fongara, località dell’alta valle dell’Agno, in comune di Recoaro. Da questa esperienza è nata la
prima azione di rilancio della frutticoltura di montagna, procedendo alla distribuzione a varie aziende vicentine di 1500 piante di mela rosa, antica varietà a polpa bianca, croccante e succosa, profumata e gradevolmente acidula. 

 

Per saperne di più:

I DONI NELLA NATURA NEL PIATTO, Edizioni Terraferma
IL PANIERE DEL VICENTINO NEL PIATTO, Edizioni Terraferma

 

 

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