I fagioli della Val Posina

Il fagiolo Scalda, celebrità da riscoprire

Pochi lo sanno, ma i fagioli di Posina nel 1936 erano reputati tra i migliori d'Italia. È quanto ricaviamo dalla lettura del volumetto Il fagiuolo, edito nel XIV anno dell'era fascista nell'ambito della Biblioteca per l'Insegnamento Agrario Professionale. Al paragrafo "Razze più importanti" troviamo citato il «Fagiolo di Valsesia (sinonimi: fagiolo di Cipro, di Milano, Posena)» con il seguente commento: «È, col Borlotto di Vigevano, il fagiolo più quotato in commercio». È un'attestazione di gran conto, considerando che nello stesso libretto risulta che il Borlotto di Vigevano era noto anche come Lamon, dalla località bellunese che ancora oggi primeggia nel settore. E varrebbe la pena fare ulteriori indagini per chiarire il riferimento a Cipro, per esempio, evocativo di legami con gli antichi commerci di Venezia nel Mediterraneo Orientale. Come richiederebbe un'indagine linguistica la denominazione locale "scalda", che potrebbe avere un significato diretto, riferito al valore nutritivo dei legumi, ma anche radici nella lingua dei Cimbri, la popolazione di stirpe germanica che nel Medioevo si insediò tra le montagne dell'Alto Vicentino. Un piccolo giallo agroalimentare.

Tornando alla descrizione tipologica, il testo e la foto che corredano la scheda redatta quasi settant'anni fa trovano conferma nell'osservazione diretta del prodotto. Il fagiolo di Posina ha forma globosa, dimensioni medio-piccole (12x8 mm) e colore bianco-livido con qualche zebrinatura verdastra che converge verso l'ombelico bianco cerchiato di giallo-arancione, mentre nel prodotto secco il colore di fondo tende al marrone chiaro e le striature al dorato.

Da osservazioni sul campo si hanno ulteriori dati su questa varietà rampicante, che supera i due metri di altezza e continua a crescere su se stessa oltre l'infrascatura; il fiore è bianco scritto di viola; il baccello è dritto e lungo circa 15 cm, contiene 5-6 semi per una produttività media di 3 kg per pianta. Quanto all'utilizzo, la rinomanza del fagiolo di Posina viene tanto dal sapore, particolarmente dolce, quanto dalla consistenza, gradevolmente farinosa, vinta la minima resistenza di una buccia che pure regge bene alla cottura: i fagioli non si disfano nel minestrone e sono anche adatti all'insalata; passati al setaccio danno una base per la pasta e fagioli chiara e cremosa. Un ultimo dettaglio curioso viene dalle fonti storiche: l'apprezzamento che in passato si aveva anche per i cornetti carnosi e teneri prodotti da questa varietà.

La Fasòla, meraviglia scarlatta

La rinomanza dei fagioli di Posina ha in effetti una doppia realtà. Accanto allo Scalda, che è un fagiolo vero e proprio, – scientificamente, Phaseolus vulgaris, – si pone anche la Fasòla, che appartiene a una specie diversa, – Phaseolus coccineus o Phaseolus multiflorus – comunemente detto Fagiolo di Spagna o Fagiolo del Papa. I caratteri distintivi di più immediata percezione sono la grandezza del seme (quasi il doppio del precedente) e il suo aspetto, (piatto e leggermente a rene, di vario colore), ma anche sul campo la differenza si coglie di primo acchito.

A questo proposito è indicativo il nome inglese, – Scarlet Runner, "corridore scarlatto", – che si riferisce all'eccezionale esuberanza della pianta, capace di crescere oltre i quattro metri di altezza, e l'inconfondibile fioritura a grappoli rossi, che trova risalto nei due nomi scientifici, dal più usato coccineus (rosso) all'alternativo multiflorus (fiori multipli). La specie conta diverse varietà, coltivate a Posina e dintorni, ma una più delle altre rappresenta la tipicità locale: è il cosiddetto Fagiolo di Spagna Rosso, a seme di colore vinoso con punteggiatura nera, donde l'appellativo popolare di "Fasòla del diavolo", e ombelico bianco cerchiato di marrone; il motivo di tale primato non è ben chiaro ma potrebbe essere dato da un'acclimatazione, e dunque produttività, migliore.

Per chi volesse cimentarsi nella distinzione tra le altre varietà elenchiamo: il Fagiolo di Spagna Bianco, il più noto agli orticoltori continentali, l'unico a fiore candido e più esigente in fatto di clima; il Fagiolo di Spagna Ibrido, con fiori in parte bianchi e in parte rossi, e seme bruno-avana screziato di seppia oppure giallo-grigio punteggiato di bruno; il Fagiolo di Spagna Variegato, a seme violetto screziato; infine il Fagiolo di Spagna Nero.

Dai coltivatori vengono dettagli agronomici in chiave locale: la semina, che ha luogo ai primi di maggio in vista di una raccolta tardiva, a cavallo tra settembre e ottobre, che poi si prolunga fino ai primi geli; lo sviluppo, fino a due metri con ulteriore crescita su se stessa oltre l'infrascatura; i baccelli, verdi e ricurvi, presenti in numero di 10-12 per pianta, lunghi oltre 50 cm e contenenti 8-10 semi; i fagioli, grandi (3x1,5 cm) e caratteristici per la buccia croccante e la polpa dallo spiccato gusto di castagna, adatti innanzitutto al consumo in insalata ma anche valido ingrediente delle minestre cui conferiscono gusto e colore.

Quando si dice “capitare a fagiolo”...

A che cosa si deve la bontà dei fagioli di Posina? Alle varietà coltivate, certo, ma anche e soprattutto alle condizioni pedoclimatiche della valle. Nei trattati di agronomia si legge che questi legumi prediligono i terreni freschi e ben drenati, con basso tenore di argilla, dunque, ma anche di calcare, perché il fagiolo non risulti coriaceo, e una presenza di materia organica adeguata all'esuberanza delle piante.

Tutto ciò si verifica a Posina e dintorni sia nelle terre ghiaiose dei fondovalle, di formazione glaciale, sia sulle terrazze dei versanti, colmate con lo stesso terriccio, da portare ad adeguata fertilità con una concimazione di letame maturo. Quanto alla tecnica di coltivazione è interessante notare come certe abitudini del passato, motivate a prima vista dall'esiguità delle terre coltivabili, vadano incontro a precise esigenze delle colture. Il riferimento è per la pratica della consociazione, per cui il fagiolo veniva abbinato al mais, utilizzandone gli steli come sostegno, oppure coltivato in strisce alternate al mais o alle patate. Il legume, infatti, da una parte giova alle piante consociate per la sua proprietà di cedere azoto al suolo, mentre dall'altra trae vantaggio da un impianto diradato che, grazie alla migliore ventilazione, riduce il rischio di muffe e quant'altro.

D'altra parte l'umidità ambientale, a Posina elevata soprattutto di notte, si rivela preziosa alleata nel momento in cui basta per mantenere il terreno alla giusta freschezza evitando sia le sofferenze da siccità che eventuali eccessi nell'irrigazione. Così impostata, la coltura proseguiva fino a maturazione dei baccelli richiedendo solo l'infrascatura, senza particolari trattamenti vista la minima incidenza di malattie.

Quanto alla conservazione, visto che il fagiolo era destinato a giungere sulle tavole tra autunno e inverno, la pratica migliore consisteva nel lasciare i baccelli a seccare sulla pianta per quanto possibile e poi stenderli al coperto su graticci, soprattutto nelle soffitte aperte e ventilate, a completare la disidratazione. La sgranatura avveniva poco prima del consumo o dello smercio ponendo cura nel tenere i fagioli in doppio sacchetto, di tela internamente, di carta da pane esternamente, talora infilando una posata di metallo tra i fagioli, secondo una pratica codificata nei secoli per tenere lontano le muffe o il famigerato tonchio, un tarlo che si sviluppa nel seme riducendolo in polvere.

Detto questo delle pratiche aziendali, che si ripetono oggi tal quali al passato, si dovrebbe trovare fondata motivazione anche per l'eccellenza di sapore, vale a dire individuare il perché dell'eccezionale dolcezza dello Scalda o dell'intensità del gusto di castagna della Fasòla: la scienza arriverà prima o poi a quantificare chimicamente anche questi caratteri e ad attribuirne il merito a questo o a quel fattore pedoclimatico.

Un futuro al naturale: i fagioli di Tonezza

Che cosa possiamo augurarci per il futuro di un prodotto così caratteristico? Che resti tal quale, ovviamente, e che si sottragga alle ristrettezze che oggi non consentono di soddisfare la richiesta di mercato. Forse, proprio a sottolineare la tipicità e la genuinità del prodotto, sarebbe auspicabile incentivare la certificazione di produzione biologica, che spetta alle produzioni esenti da prodotti chimici di sintesi, fertilizzanti o pesticidi che siano, come di fatto già accade nella maggior parte dei casi.

Da questo punto di vista è significativa l'esperienza della vicina Tonezza del Cimone, raggiungibile da Arsiero seguendo una strada che si innalza con panorami mozzafiato sulla Val d'Astico: in questo luogo di villeggiatura a mille metri di quota, al centro di un altopiano di eccezionale bellezza, la produzione agricola ha ripreso un certo vigore proprio puntando sul "naturale": anche qui patate delle migliori varietà, fagioli Borlotti, piselli e cavoli cappucci, che conoscono solo una concimazione tradizionale con stallatico e interventi colturali a basso impatto ambientale. Una produzione non ufficialmente "biologica", ma ragionevolmente al di sopra di ogni sospetto se consideriamo la cornice naturale e la serietà delle persone che la sostengono.

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